Serafino Famà

“Se ti comporti con onestà e coraggio non devi avere paura di nulla”

Biografia

La vita di Serafino Famà

Serafino Famà nacque il 3 aprile del 1938 a Misterbianco, in provincia di Catania. Era un avvocato penalista, che non considerava la sua funzione un semplice lavoro, era un professionista integerrimo che agiva a difesa della forma e delle regole: credeva nella toga che indossava, onorandola ogni giorno, nella giustizia, nel diritto di ogni uomo a essere difeso, nella legalità. Insomma, un uomo di Legge che si rifiutava di scendere a compromessi. La frase che ripeteva più spesso era: “Onestà e coraggio. Se ti comporti con onestà e coraggio non devi avere paura di nulla”.

Era il 9 novembre 1995 quando, intorno alle ore 21, veniva ucciso all’angolo tra viale Raffaello Sanzio e via Oliveto Scammacca a Catania. La vittima, in compagnia del collega Michele Ragonese, era appena uscita dallo studio poco distante e stava raggiungendo la macchina posteggiata in piazzale Sanzio per tornare a casa, quando venne raggiunto da sei colpi di Berretta calibro 7,65 dotata di silenziatore, che lo colpirono ripetutamente al volto e al torace. Famà si accasciò al suolo e morì dopo una inutile corsa in ambulanza al Pronto Soccorso dell’ospedale Garibaldi. Aveva solo 57 anni.

Le indagini

Per circa un anno e mezzo le indagini non condussero a piste investigative concrete, sino al 6 marzo 1997, quando Alfio Giuffrida, affiliato e reggente del clan mafioso Laudani, manifestò la sua intenzione di collaborare con la giustizia.

In base alla prima ricostruzione, Giuseppe Di Giacomo era il mandante che, dal carcere, aveva ordinato l’omicidio agli esecutori materiali Salvatore Catti e Salvatore Torrisi, mentre lo stesso Giuffrida e Fulvio Amante avevano osservato la scena da un’automobile. Di Giacomo aveva una relazione sentimentale con Stella Corrado, moglie di suo cognato Matteo Di Mauro. L’infedeltà del Di Giacomo e della Corrado avrebbe potuto causare ripercussioni all’interno del clan e per questo motivo l’uomo aveva programmato l’omicidio della donna che non realizzò per essere stato arrestato prima.

In un processo dov’era imputato, l’avvocato difensore del Di Giacomo ritenne fondamentale per la scarcerazione del suo cliente che la Corrado testimoniasse a suo favore. Infatti, la testimonianza della donna, nei piani del boss, era necessaria per essere scagionato dalle accuse nel processo in appello ma anche dalle ombre che gli affiliati gettavano sulla sua condotta “moralmente riprovevole”.
Ma Famà (allora difensore di Matteo Di Mauro) aveva consigliato alla donna di astenersi dal fare qualunque dichiarazione, e lei aveva accettato il consiglio del legale.

Questo suggerimento costò la vita all’avvocato Serafino Famà, infatti come si legge nella sentenza: «La mancata deposizione della Corrado, certamente conseguente all’intervento dell’avvocato Famà, era stata vista dal Di Giacomo come la causa diretta della irrealizzabilità del proprio scopo, ovvero la scarcerazione».
Alla mancata testimonianza, come scrissero i giudici nella sentenza, Di Giacomo reagì “come sapeva e poteva fare”. L’ordine di far uccidere il penalista Serafino Famà venne impartito dal carcere di Firenze in cui era detenuto, con il tramite dell’altro cognato Di Mauro.

Il racconto di Giuffrida non si limitò, comunque, alla sola individuazione del mandante del delitto. Ad essere elencati furono anche gli esecutori materiali che quella sera partirono alla volta di Catania dopo un summit in una stalla di Aci Bonaccorsi (CT).

Il processo e le condanne

Il 16 marzo del 1998 il GUP del Tribunale di Catania dispose il rinvio a giudizio per loro e per altre quattro persone, accusate di omicidio volontario pluriaggravato, porto e detenzione illegali di arma da fuoco e ricettazione.

La sentenza della Corte di Assise di Catania, sez. 3^, in data 4 novembre 1999, n. 19/99, confermata con sentenza della Corte di Assise di Appello di Catania del 21-22/2/2001 n.5/2001 ha condannato Amante, Catti, Di Giacomo, Di Mauro, Fichera, Gangi e Torrisi all’ergastolo; Al collaboratore di giustizia Alfio Lucio Giuffrida e a Mario Demetrio Basile è stata comminata la pena di diciotto anni di reclusione.

I giudici, nelle motivazioni della sentenza di colpevolezza a carico degli imputati, hanno individuato il movente dell’omicidio esclusivamente “nell’esercizio corretto dell’attività professionale”.

Il Ricordo

In memoria di Serafino Famà nel dicembre 1995, a un mese dal tragico episodio, l’amministrazione comunale di Catania ha posto una targa in piazzale Sanzio, luogo dell’assassinio e a lui è intitolata la Camera Penale di Catania istitutrice, inoltre, del “Premio biennale Avvocato Serafino Famà” per il miglior atto giudiziario, in memoria “dell’Avvocato Serafino Famà, del Suo Sacrificio e della Sua dedizione alla toga”.

Il 18 luglio 2011 nel comune di Borgo Sabotino, in provincia di Latina, nei locali di un bene confiscato per abusivismo edilizio, è stato inaugurato il “Villaggio della Legalità” intitolato a Serafino Famà, che purtroppo è stato oggetto di numerosi atti intimidatori che hanno portato alla distruzione del bene e costretto l’associazione “Libera” a restituirlo al Comune.

Nel 2013 la figlia Flavia Famà e Simone Mercurio hanno realizzato, prendendo spezzoni di vecchi filmati dell’epoca e aggiungendo altri filmati più recenti, un cortometraggio-documentario intitolato “Tra due fuochi. Serafino Famà, storia di un avvocato”.

L’8 aprile 2012 nella città di Catania gli è stato intitolato un piazzale sito tra viale Raffaello Sanzio e via Oliveto Scammacca in prossimità del luogo dell’omicidio e l’8 Novembre 2016, a 21 anni dall’assassinio, nello stesso luogo, è stato inaugurato in sua memoria un “giardino” ancora in fase di realizzazione.

I figli Fabrizio e Flavia, che alla morte del padre avevano rispettivamente venti e tredici anni, con la collaborazione di Libera hanno deciso di battersi in prima persona per portare avanti la memoria del papà, trasformando il loro dolore personale in impegno.

Lo Stato ha onorato il sacrificio della vittima, con il riconoscimento concesso dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla legge n. 512/99 a favore dei suoi familiari, costituitisi parte civile nel processo.

la voce di Serafino Famà